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Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
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Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Ieri, 25 novembre 2008, è stata la giornata internazione contro la violenza sulle donne.
Numerose sono state le iniziative promosse da associazioni e organizzazioni politiche per sensibilizzare l'opinione pubblica su delle vere e proprie tragedie vissute, ancora oggi, da milioni di donne.
La denuncia e l’attenzione è posta ad ampio raggio.
Vi sono popolazioni primitive che ancora praticano atti di mutilazione sulle bambine. Sono pratiche definite culturalmente e ben difficili da sradicare.
Ma purtroppo anche da noi, nei paesi civilizzati, le notizie di cronaca si susseguono. E sono spesso le donne a esser vittime di omicidi compiuti tra le mura di casa. Quelle stesse famiglie che dovrebbero essere un rifugio affettivo di sicurezza e protezione, spesso divengono la fucina del mostro.
La famiglia uccide più della mafia. Intitolava un articolo di giornale a proposito dell'ennesimo delitto.
Ma per chi muore di violenza e fa notizia, ci sono milioni di donne che subiscono in silenzio, tra le mura di casa, offese e vessazioni, e violenze, fisiche e sessuali.
Violenze a cui spesso assistono muti e impotenti gli altri componenti della famiglia. Per paura, abitudine, perché così è.
Quando se ne parla si ritiene che tali situazioni si verificano esclusivamente in contesti degradati oppure tra extracomunitari – che chissà perché si ritengono meno civilizzati – tra i meridionali e le popolazioni primitive.
Si discrimina una fascia di cittadini solo perché si ritengono più ignoranti, meno acculturati.
E invece no. Gli ambiti possono essere i più vari.
Da notare il livello di comunicazione con cui viene data la notizia. Si parla di violenze sulle donne, ma non si parla di chi attua la violenza. Perché l’artefice della violenza è l’uomo, il maschio, sia esso rustico, primitivo o di cultura.
Non si propone una giornata internazionale contro la violenza dell’uomo sulle fasce deboli. Oppure contro la violenza del forte sul debole. Non dimentichiamo che spesso anche i bambini sono vittime di violenza, per quello strano meccanismo animale che vede il più forte fisicamente imporsi sull’altro.
Secoli di cultura non interrompono quel perverso circuito della supremazia della forza fisica, del più forte sul più debole, di quella condizione che il pesce grosso si mangia il pesce piccolo.
E così l'uomo continua a far leva sulla propria forza fisica per compensare le proprie difficoltà relazionali. L’impossibilità di relazionarsi in una maniera civile e con l’ascolto dell’altro.
La violenza, l'atteggiamento camorrista e bullista, è trasmesso culturalmente dall'uomo sull'uomo spesso come unica modalità per relazionarsi e farsi ragione.
Ed ecco che il risultato degli atti di violenza è un malessere generalizzato. Tra le mura di casa, la donna chiaramente vittima si identifica con l'infelicità e la sottomissione, e alimentando sentimenti di odio adotta mezzi subdoli e meschini per vendicarsi, mentre l'uomo - apparentemente vincente in un contesto dove non esistono né vincitori e né vinti – ne esce lo stesso sconfitto perché resta identificato con la propria impotenza a rapportarsi in maniera civile subendo, nello stesso tempo, le ritorsioni della donna che gli crea intorno stati di malessere e infelicità.
E vivono entrambi in un ambiente d’inferno.
A questo punto occorre proporre soluzioni. Nelle scuole sono molto attivi i progetti per contrastare gli episodi di bullismo, ma quanto si fa riferimento alle famiglie e alle violenze che vivono i bambini ogni giorno tra le mura domestiche?
Spesso gli insegnanti hanno le mani legate, non possono andare oltre gli ambiti delle loro competenze e hanno le mani legate.
Ed ecco che dall’alto occorrerebbe un’ azione – fatta di centri di accoglienza e ascolto, di gruppi di sostegno - che possa essere di aiuto e sostegno a donne vittime di violenze e nel contempo sostengano e accolgano le motivazioni di quegli uomini che non conoscendo altro mezzo per rapportarsi e far valere le proprie motivazioni continuano ad adottare l’unico sistema conosciuto. Che è la violenza e la prevaricazione.
Numerose sono state le iniziative promosse da associazioni e organizzazioni politiche per sensibilizzare l'opinione pubblica su delle vere e proprie tragedie vissute, ancora oggi, da milioni di donne.
La denuncia e l’attenzione è posta ad ampio raggio.
Vi sono popolazioni primitive che ancora praticano atti di mutilazione sulle bambine. Sono pratiche definite culturalmente e ben difficili da sradicare.
Ma purtroppo anche da noi, nei paesi civilizzati, le notizie di cronaca si susseguono. E sono spesso le donne a esser vittime di omicidi compiuti tra le mura di casa. Quelle stesse famiglie che dovrebbero essere un rifugio affettivo di sicurezza e protezione, spesso divengono la fucina del mostro.
La famiglia uccide più della mafia. Intitolava un articolo di giornale a proposito dell'ennesimo delitto.
Ma per chi muore di violenza e fa notizia, ci sono milioni di donne che subiscono in silenzio, tra le mura di casa, offese e vessazioni, e violenze, fisiche e sessuali.
Violenze a cui spesso assistono muti e impotenti gli altri componenti della famiglia. Per paura, abitudine, perché così è.
Quando se ne parla si ritiene che tali situazioni si verificano esclusivamente in contesti degradati oppure tra extracomunitari – che chissà perché si ritengono meno civilizzati – tra i meridionali e le popolazioni primitive.
Si discrimina una fascia di cittadini solo perché si ritengono più ignoranti, meno acculturati.
E invece no. Gli ambiti possono essere i più vari.
Da notare il livello di comunicazione con cui viene data la notizia. Si parla di violenze sulle donne, ma non si parla di chi attua la violenza. Perché l’artefice della violenza è l’uomo, il maschio, sia esso rustico, primitivo o di cultura.
Non si propone una giornata internazionale contro la violenza dell’uomo sulle fasce deboli. Oppure contro la violenza del forte sul debole. Non dimentichiamo che spesso anche i bambini sono vittime di violenza, per quello strano meccanismo animale che vede il più forte fisicamente imporsi sull’altro.
Secoli di cultura non interrompono quel perverso circuito della supremazia della forza fisica, del più forte sul più debole, di quella condizione che il pesce grosso si mangia il pesce piccolo.
E così l'uomo continua a far leva sulla propria forza fisica per compensare le proprie difficoltà relazionali. L’impossibilità di relazionarsi in una maniera civile e con l’ascolto dell’altro.
La violenza, l'atteggiamento camorrista e bullista, è trasmesso culturalmente dall'uomo sull'uomo spesso come unica modalità per relazionarsi e farsi ragione.
Ed ecco che il risultato degli atti di violenza è un malessere generalizzato. Tra le mura di casa, la donna chiaramente vittima si identifica con l'infelicità e la sottomissione, e alimentando sentimenti di odio adotta mezzi subdoli e meschini per vendicarsi, mentre l'uomo - apparentemente vincente in un contesto dove non esistono né vincitori e né vinti – ne esce lo stesso sconfitto perché resta identificato con la propria impotenza a rapportarsi in maniera civile subendo, nello stesso tempo, le ritorsioni della donna che gli crea intorno stati di malessere e infelicità.
E vivono entrambi in un ambiente d’inferno.
A questo punto occorre proporre soluzioni. Nelle scuole sono molto attivi i progetti per contrastare gli episodi di bullismo, ma quanto si fa riferimento alle famiglie e alle violenze che vivono i bambini ogni giorno tra le mura domestiche?
Spesso gli insegnanti hanno le mani legate, non possono andare oltre gli ambiti delle loro competenze e hanno le mani legate.
Ed ecco che dall’alto occorrerebbe un’ azione – fatta di centri di accoglienza e ascolto, di gruppi di sostegno - che possa essere di aiuto e sostegno a donne vittime di violenze e nel contempo sostengano e accolgano le motivazioni di quegli uomini che non conoscendo altro mezzo per rapportarsi e far valere le proprie motivazioni continuano ad adottare l’unico sistema conosciuto. Che è la violenza e la prevaricazione.
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