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Ancora sul bullismo
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Ancora sul bullismo
Già dalle scuole elementari la vita può essere dura. Aggressività, ricatto, vessazione e violenza sono giochi perversi che si attuano sin da piccoli nei confronti di altri coetanei che non riescono a difendersi in maniera adguata.
Ma per potersi difendere oggi, pare che l'unica strada sia quella di dimostrare di essere più aggressivo, violento e furbo dell'altro.
Ma c'è chi non ci riesce. Che non lo sa fare, che non farebbe mai del male perché non lo ritiene giusto, che preferisce giocare con i compagni invece di dimostrare chi è il più forte o il più cattivo.
Ma purtroppo oggi pare non esistano tutele per coloro che erroneamente vengono definiti "deboli" che non sanno difendersi, ma che forse potrebbero, proprio loro, dare forma a una società più democratica e sana.
Occorrerebbe insegnare ai nostri ragazzi che non è prova di forza essere aggressivi. Che il potere sull'altro non dà la misura del proprio valore, ma è solo una gratuita violenza fine a se stessa che non conduce da nessuna parte.
Già dalle scuole materne sarebbe opportuno incentivare nei bambini quei comportamenti che mirano al piacere e alla soddisfazione derivanti dall'accettazione dell'altro e dalla condivisone di giochi e esperienze di crescita.
Le insegnanti, nonostante le molteplici indicazioni ministeriali, ancora non comprendono e tanto meno riescono ad affrontare i disagi emotivi e relazionionali che si svolgono sotto i loro occhi.
Nella migliore delle ipotesi si limitano ad osservare in silenzio, ma giungono finanche a colpevolizzare le stesse vittime.
Così come è accaduto a Treviso.
Ed è notizia di cronaca. La madre di un bimbo napoletano, vessato di continuo dai suoi compagni di classe, si è visto costretta a far cambiare scuola al proprio figlio per l'assenza completa di tutela da parte delle insegnanti.
"E' il suo ragazzo ad essere problematico...."
Pare che così si sia sentita rispondere, da una insegnante, alle sue rimostranze.
Ma per un caso che balza alle cronache ce ne sono migliaia che restano circoscritti nel silenzio delle case o finanche, e più spesso, nei cuori dei bambini, condizionandone l'esistenza e minandone le capacità future.
Ma dove sono andati a finire quei bei programmi ministeriali sull'integrazione, che fanno spendere ogni anno fior di quattrini in progetti scolastici che restano a quanto pare solo discussioni teoriche?
Occorre allora supporre che servano solo a far arricchire capi d'Istituto senza per altro essere finalizzati nella loro funzione.
E tristemente ricordo di P. un bel bimbo trasferitosi da poco, da paesi più evoluti, in una scuola elementare della nostra provincia, e che ritornava ogni giorno a casa pieno di ecchimosi sul corpo, e finanche sulle parti intime!
Anche in quel caso la maestra disse ai genitori che problemi non ce n'erano e...
"... sono "giochi" di bambini ma... parliamoci chiaro... pure vostro figlio è ben strano... pretende di risolvere i problemi con il dialogo invece di fare a botte...."
Ed ecco quindi che i bambini sono lo specchio di una società che si definisce civile solo a parole, che traggono i loro insegnamenti da quegli adulti che con la violenza, il malaffare e la prevaricazione arrivano ad ottenere potere e supremazia mentre lasciano che il mondo vada a rotoli.
E allora?
Allora significa che non c'è speranza?
Niente affatto! Occorre sperare e lottare.
La resa non ha mai portato a nulla.
Ognuno di noi può e deve contribuire a rendere il mondo migliore, basta partire da sé, dal proprio piccolo.
Non ci vuole poi tanto. Basta utilizzare l'attenzione e ripristinare il "giusto" appena si è in grado di farlo, senza voltarsi dall'altro lato - che è più comodo non mischiarsi, magari con l'alibi che non serve a niente... - che si diventa complici, si contribuisce con il silenzio, a perpetuare l'attuale stato di cose.
Ed ecco allora che basta poco. Basta svolgere il proprio lavoro con coscienza ed attenzione. Così allora pure l'insegnante avrà ben chiaro che occorre impegnarsi anche in quei "compiti" che non attengono ai programmi scolastici ma che sono parte essenziale, elemento portante direi di qualsiasi progetto educativo.
Dott. Assunta Paliotti Ma per potersi difendere oggi, pare che l'unica strada sia quella di dimostrare di essere più aggressivo, violento e furbo dell'altro.
Ma c'è chi non ci riesce. Che non lo sa fare, che non farebbe mai del male perché non lo ritiene giusto, che preferisce giocare con i compagni invece di dimostrare chi è il più forte o il più cattivo.
Ma purtroppo oggi pare non esistano tutele per coloro che erroneamente vengono definiti "deboli" che non sanno difendersi, ma che forse potrebbero, proprio loro, dare forma a una società più democratica e sana.
Occorrerebbe insegnare ai nostri ragazzi che non è prova di forza essere aggressivi. Che il potere sull'altro non dà la misura del proprio valore, ma è solo una gratuita violenza fine a se stessa che non conduce da nessuna parte.
Già dalle scuole materne sarebbe opportuno incentivare nei bambini quei comportamenti che mirano al piacere e alla soddisfazione derivanti dall'accettazione dell'altro e dalla condivisone di giochi e esperienze di crescita.
Le insegnanti, nonostante le molteplici indicazioni ministeriali, ancora non comprendono e tanto meno riescono ad affrontare i disagi emotivi e relazionionali che si svolgono sotto i loro occhi.
Nella migliore delle ipotesi si limitano ad osservare in silenzio, ma giungono finanche a colpevolizzare le stesse vittime.
Così come è accaduto a Treviso.
Ed è notizia di cronaca. La madre di un bimbo napoletano, vessato di continuo dai suoi compagni di classe, si è visto costretta a far cambiare scuola al proprio figlio per l'assenza completa di tutela da parte delle insegnanti.
"E' il suo ragazzo ad essere problematico...."
Pare che così si sia sentita rispondere, da una insegnante, alle sue rimostranze.
Ma per un caso che balza alle cronache ce ne sono migliaia che restano circoscritti nel silenzio delle case o finanche, e più spesso, nei cuori dei bambini, condizionandone l'esistenza e minandone le capacità future.
Ma dove sono andati a finire quei bei programmi ministeriali sull'integrazione, che fanno spendere ogni anno fior di quattrini in progetti scolastici che restano a quanto pare solo discussioni teoriche?
Occorre allora supporre che servano solo a far arricchire capi d'Istituto senza per altro essere finalizzati nella loro funzione.
E tristemente ricordo di P. un bel bimbo trasferitosi da poco, da paesi più evoluti, in una scuola elementare della nostra provincia, e che ritornava ogni giorno a casa pieno di ecchimosi sul corpo, e finanche sulle parti intime!
Anche in quel caso la maestra disse ai genitori che problemi non ce n'erano e...
"... sono "giochi" di bambini ma... parliamoci chiaro... pure vostro figlio è ben strano... pretende di risolvere i problemi con il dialogo invece di fare a botte...."
Ed ecco quindi che i bambini sono lo specchio di una società che si definisce civile solo a parole, che traggono i loro insegnamenti da quegli adulti che con la violenza, il malaffare e la prevaricazione arrivano ad ottenere potere e supremazia mentre lasciano che il mondo vada a rotoli.
E allora?
Allora significa che non c'è speranza?
Niente affatto! Occorre sperare e lottare.
La resa non ha mai portato a nulla.
Ognuno di noi può e deve contribuire a rendere il mondo migliore, basta partire da sé, dal proprio piccolo.
Non ci vuole poi tanto. Basta utilizzare l'attenzione e ripristinare il "giusto" appena si è in grado di farlo, senza voltarsi dall'altro lato - che è più comodo non mischiarsi, magari con l'alibi che non serve a niente... - che si diventa complici, si contribuisce con il silenzio, a perpetuare l'attuale stato di cose.
Ed ecco allora che basta poco. Basta svolgere il proprio lavoro con coscienza ed attenzione. Così allora pure l'insegnante avrà ben chiaro che occorre impegnarsi anche in quei "compiti" che non attengono ai programmi scolastici ma che sono parte essenziale, elemento portante direi di qualsiasi progetto educativo.
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