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L' Intelligenza Emotiva
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L' Intelligenza Emotiva
Nella cura del malessere psicologico - sempre più presente e invalidante a seguito di continue e pressanti richieste sociali - la consapevolezza della propria parte emozionale ha un compito determinante.
Il disagio psichico, sia esso un'ansia generalizzata, un attacco di panico, una depressione, derivano per lo più – salvo rarissimi casi - da un mancato riconoscimento, spesso una vera negazione, della propria componente emotiva che, a lungo andare, come una energia compressa e/o negata, sfocia nella sintomatologia.
Sempre più spesso mi trovo difronte a persone che, in presenza di malessere, e nonostante fossero fortemente motivate alla risoluzione del sintomo, negano o sottovalutano le condizioni – interiori, relazionali e ambientali - che hanno determinato alla situazione attuale.
Perché non sanno che nulla capita a caso.
Spesso si segue il corso degli eventi senza una vera attenzione e consapevolezza su ciò che accade e di dove si sta andando. Anche se si vive a fatica, si stringe i denti e si va avanti, spesso identificandosi con un malessere psicologico che a lungo andare si struttura e diventa disagio.
In parole povere, l'infelicità, l'insoddisfazione, i timori, non restano lì nell'ambito della nostra mente, ma si installano in noi, nell'insieme mente-corpo, e determinano alterazioni biochimiche, inizialmente transitorie che però si strutturano se lo stato persiste, e che possono, a lungo andare, provocare alterazioni funzionali che danno origine al disagio psichico o al malessere psicosomatico.
Uno stato di tristezza ad esempio non è solo manifestazione della mente, ma uno stato dell'insieme mente-corpo, ben dimostrabile con la comparsa delle lacrime. Prova inconfutabile della relazione mente - corpo.
E allora la soluzione viene sempre più vista nella prevenzione. E prevenzione vuol dire consapevolezza di sé e del proprio vissuto interiore, della propria componente emozionale e relazionale.
Oggi sempre più spesso si sente parlare di intelligenza emotiva. Un termine reso famoso dallo psicologo e divulgatore scientifico americano, Daniel Goleman, che riprendendo i lavori di Salovey e Mayer del 90 che hanno coniato il termine, ha raccolto nel suo libro, Intelligenza Emotiva, il risultato di un lungo lavoro di osservazioni che dimostravano che il livello di Quoziente intellettivo - QI - non sempre dava previsioni esatte sulla riuscita dell'individuo.
Gli americani che sono pragmatici per eccellenza e non fanno nulla a caso, hanno sottoposto intere generazioni di bambini ai test intellettivi come previsione di un loro sviluppo e funzionamento futuro e quindi come base per incentivi professionali. Non a caso i test d'intelligenza sono sorti in ambito militare, dove si valutava in che modo si potesse utilizzare al meglio ogni risorsa, e continuano, ancora oggi, ad essere utilizzati, con lo stesso scopo anche in ambiti civili e aziendali.
E quindi quando si è ben compreso che la sola valutazione del QI non era sufficiente a valutare la riuscita di un individuo, si è presto individuato che la causa risiede nella componente emotiva.
Una persona, per quanto possa essere intelligentissima, se in preda ad insicurezze, ansie e paure renderà la metà della metà del proprio potenziale. Mentre colui che riesce a utilizzare tutte le proprie risorse, potrà aspirare ad un futuro più stabile e più sereno.
È opportuno a questo punto compiere una distinzione tra emozione ed emotività.
L'emozione è la parte sana di ognuno. Riconoscere la propria emozione, di gioia, felicità, tristezza, paura, significa partecipare con intensità agli eventi della vita e porre rimedio ai motivi di malessere.
Ma una emozione non espressa e più volte rimossa – la rimozione è quel meccanismo di difesa che allontana dalla coscienza sentimenti inaccettabili – per timore magari di alterare un equilibrio attuale, determina un accrescimento dell'emotività, dannosa al riconoscimento e la manifestazione di sé, ed è anticamera di stati patologici strutturati.
Che fare allora? Come rapportarsi a stati emozionali e risolvere le proprie problematiche emotive?
Ecco alcuni suggerimenti:
- Scoprire il proprio tono emotivo di base. Se siamo tendenzialmente depressi o euforici o impauriti o ansiosi. Ogni guarigione parte dalla consapevolezza di di sé.
- Riconoscere le proprie sensazioni ed emozioni proprio nel momento che accadono. Ad esempio al verificarsi di un evento prestare ascolto al tipo di risonanza affettiva che determina.
- Imparare a valutare e gestire emozioni e sensazioni. Vale la regola della via di mezzo: non cedere sempre ai freni emotivi ma né farsi male andando a sbattere di continuo in situazioni che procurano disagio.
- Scoprire le proprie motivazioni e prefiggersi un obiettivo. Sembra facile ma non lo è. Spesso si è invischiati in una nebbia emotiva che non consente di vedere le proprie motivazioni e attitudini. Ricordare che ognuno ha le proprie predisposizioni, che non sono né superiori e né inferiori a quelle di un'altra persona.
- Riconoscere le emozioni degli altri, sviluppando l'empatia e la consapevolezza sociale. Iniziare a riconoscere anche le risonanze emotive degli altri. Spesso anche chi sembra forte ha paura ed è insicuro.
- Riconoscere la propria modalità di comunicazione. Siamo aggressivi' passivi? O riusciamo a far valere le nostre ragioni nel rispetto delle nostre ragioni e di quelle degli altri?
- Apprendere la gestione dei conflitti interpersonali. Senza negare che esista un conflitto e quindi cedere di continuo a richieste esterne, né imporsi aggressivamente, ma riconoscere la propria motivazione, così come quella dell'altro.
- Imparare a riconoscere un conflitto interiore. Può accadere di trovarsi come in un vicolo cieco, quando si è combattuti da esigenze interiori opposte. Operare la scelta migliore e lasciare alle spalle l'altra vuol dire continuare a vivere senza zavorre. Rimanere nel dubbio, tipico dell'indeciso, genera e alimenta il malessere.
- Imparare a valutare e gratificare sé stessi. Anche partendo dalle cose più banali.
In ogni caso è opportuno partire dal presupposto che ogni stato di malessere o disagio può essere risolto, così come certe abilità, comunicative o relazionali, possono essere apprese.
A volte basta poco, anche cambiare la visuale della percezione di sé. Oppure a volte occorre essere accompagnati da un esperto che ci aiuti a sciogliere i nodi dei conflitti e a scoprire le proprie risorse interiori.
Ma essenzialmente è opportuno imparare a considerare ogni difficoltà come una occasione, perché affrontare e risolvere un problema, accresce la forza e la stima di sé.
Dott. Assunta Paliotti
Il disagio psichico, sia esso un'ansia generalizzata, un attacco di panico, una depressione, derivano per lo più – salvo rarissimi casi - da un mancato riconoscimento, spesso una vera negazione, della propria componente emotiva che, a lungo andare, come una energia compressa e/o negata, sfocia nella sintomatologia.
Sempre più spesso mi trovo difronte a persone che, in presenza di malessere, e nonostante fossero fortemente motivate alla risoluzione del sintomo, negano o sottovalutano le condizioni – interiori, relazionali e ambientali - che hanno determinato alla situazione attuale.
Perché non sanno che nulla capita a caso.
Spesso si segue il corso degli eventi senza una vera attenzione e consapevolezza su ciò che accade e di dove si sta andando. Anche se si vive a fatica, si stringe i denti e si va avanti, spesso identificandosi con un malessere psicologico che a lungo andare si struttura e diventa disagio.
In parole povere, l'infelicità, l'insoddisfazione, i timori, non restano lì nell'ambito della nostra mente, ma si installano in noi, nell'insieme mente-corpo, e determinano alterazioni biochimiche, inizialmente transitorie che però si strutturano se lo stato persiste, e che possono, a lungo andare, provocare alterazioni funzionali che danno origine al disagio psichico o al malessere psicosomatico.
Uno stato di tristezza ad esempio non è solo manifestazione della mente, ma uno stato dell'insieme mente-corpo, ben dimostrabile con la comparsa delle lacrime. Prova inconfutabile della relazione mente - corpo.
E allora la soluzione viene sempre più vista nella prevenzione. E prevenzione vuol dire consapevolezza di sé e del proprio vissuto interiore, della propria componente emozionale e relazionale.
Oggi sempre più spesso si sente parlare di intelligenza emotiva. Un termine reso famoso dallo psicologo e divulgatore scientifico americano, Daniel Goleman, che riprendendo i lavori di Salovey e Mayer del 90 che hanno coniato il termine, ha raccolto nel suo libro, Intelligenza Emotiva, il risultato di un lungo lavoro di osservazioni che dimostravano che il livello di Quoziente intellettivo - QI - non sempre dava previsioni esatte sulla riuscita dell'individuo.
Gli americani che sono pragmatici per eccellenza e non fanno nulla a caso, hanno sottoposto intere generazioni di bambini ai test intellettivi come previsione di un loro sviluppo e funzionamento futuro e quindi come base per incentivi professionali. Non a caso i test d'intelligenza sono sorti in ambito militare, dove si valutava in che modo si potesse utilizzare al meglio ogni risorsa, e continuano, ancora oggi, ad essere utilizzati, con lo stesso scopo anche in ambiti civili e aziendali.
E quindi quando si è ben compreso che la sola valutazione del QI non era sufficiente a valutare la riuscita di un individuo, si è presto individuato che la causa risiede nella componente emotiva.
Una persona, per quanto possa essere intelligentissima, se in preda ad insicurezze, ansie e paure renderà la metà della metà del proprio potenziale. Mentre colui che riesce a utilizzare tutte le proprie risorse, potrà aspirare ad un futuro più stabile e più sereno.
È opportuno a questo punto compiere una distinzione tra emozione ed emotività.
L'emozione è la parte sana di ognuno. Riconoscere la propria emozione, di gioia, felicità, tristezza, paura, significa partecipare con intensità agli eventi della vita e porre rimedio ai motivi di malessere.
Ma una emozione non espressa e più volte rimossa – la rimozione è quel meccanismo di difesa che allontana dalla coscienza sentimenti inaccettabili – per timore magari di alterare un equilibrio attuale, determina un accrescimento dell'emotività, dannosa al riconoscimento e la manifestazione di sé, ed è anticamera di stati patologici strutturati.
Che fare allora? Come rapportarsi a stati emozionali e risolvere le proprie problematiche emotive?
Ecco alcuni suggerimenti:
- Scoprire il proprio tono emotivo di base. Se siamo tendenzialmente depressi o euforici o impauriti o ansiosi. Ogni guarigione parte dalla consapevolezza di di sé.
- Riconoscere le proprie sensazioni ed emozioni proprio nel momento che accadono. Ad esempio al verificarsi di un evento prestare ascolto al tipo di risonanza affettiva che determina.
- Imparare a valutare e gestire emozioni e sensazioni. Vale la regola della via di mezzo: non cedere sempre ai freni emotivi ma né farsi male andando a sbattere di continuo in situazioni che procurano disagio.
- Scoprire le proprie motivazioni e prefiggersi un obiettivo. Sembra facile ma non lo è. Spesso si è invischiati in una nebbia emotiva che non consente di vedere le proprie motivazioni e attitudini. Ricordare che ognuno ha le proprie predisposizioni, che non sono né superiori e né inferiori a quelle di un'altra persona.
- Riconoscere le emozioni degli altri, sviluppando l'empatia e la consapevolezza sociale. Iniziare a riconoscere anche le risonanze emotive degli altri. Spesso anche chi sembra forte ha paura ed è insicuro.
- Riconoscere la propria modalità di comunicazione. Siamo aggressivi' passivi? O riusciamo a far valere le nostre ragioni nel rispetto delle nostre ragioni e di quelle degli altri?
- Apprendere la gestione dei conflitti interpersonali. Senza negare che esista un conflitto e quindi cedere di continuo a richieste esterne, né imporsi aggressivamente, ma riconoscere la propria motivazione, così come quella dell'altro.
- Imparare a riconoscere un conflitto interiore. Può accadere di trovarsi come in un vicolo cieco, quando si è combattuti da esigenze interiori opposte. Operare la scelta migliore e lasciare alle spalle l'altra vuol dire continuare a vivere senza zavorre. Rimanere nel dubbio, tipico dell'indeciso, genera e alimenta il malessere.
- Imparare a valutare e gratificare sé stessi. Anche partendo dalle cose più banali.
In ogni caso è opportuno partire dal presupposto che ogni stato di malessere o disagio può essere risolto, così come certe abilità, comunicative o relazionali, possono essere apprese.
A volte basta poco, anche cambiare la visuale della percezione di sé. Oppure a volte occorre essere accompagnati da un esperto che ci aiuti a sciogliere i nodi dei conflitti e a scoprire le proprie risorse interiori.
Ma essenzialmente è opportuno imparare a considerare ogni difficoltà come una occasione, perché affrontare e risolvere un problema, accresce la forza e la stima di sé.
Dott. Assunta Paliotti
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