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Un "deficit del ragionamento" come base eziologica del comportamento criminale. Una ipotesi della psicologia giuridica.

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Messaggio Da Admin Ven 15 Ott 2010, 20:25


Dopo i crimini efferati si giustificano puntualmente, dicendo di "aver perso la testa", ma dall’analisi fattoriale della loro personalità risulterebbe che essi non avrebbero mai avuto “la testa completamente a posto”.

Il sospetto clinico di una carenza psicologica pregressa prende le mosse proprio dalla loro leggerezza ideativa nel rispondere, di fatto semplicemente, dopo un crimine efferato, dicendo di aver perso la testa, di non aver capito più niente o di non ricordare più niente; né si può pensare ad un espediente messo in pratica per evitare il massimo della condanna proprio perché, in quasi tutti i casi, manifestano immediatamente tendenze suicide.

Lascia pensare ad una grave patologia pregressa anche il repentino passaggio del criminale dal comportamento bestiale e cruento, avuto effettivamente nella scena delittuosa, al comportamento afflosciato, amichevole, bonario, rassicurante ma senza emozione, manifestato durante il racconto del delitto.
Alla fine poi l’assassino si descrive quasi come un "bravo ragazzo".

Per tali motivi si ipotizza la presenza di un “deficit del ragionamento”, compatibile quindi col “crimine senza ragione”.

Per tentare di ridurre gli atti inconsulti ed i delitti odiosi, bisogna partire senza dubbio da nuove ipotesi di intervento psicologico sui soggetti a rischio, portatori di “deficit del ragionamento” e tendenze criminali “secondarie”; si dovrà iniziare a testare gli interventi preventivi in un’area “borderline” da cui provengono tanti protagonisti delle cronache giudiziarie.
In questo passaggio epocale “libertario - globale” che vede la televisione ed internet soppiantare l’educazione familiare e la didattica scolastica, ogni psicologo si interroga per tentare di soccorrere la società costruttiva e solidale, invece di delegare passivamente la sicurezza individuale alle forze dell’ordine con tutto l’apparato di prevenzione, di dissuasione e di contrasto, o ai religiosi di mille Chiese, o ai professori di migliaia di scuole, o ai i genitori, mentre i delitti più assurdi ed odiosi continuano a susseguirsi ininterrottamente e con aspetti più feroci.

Lo psicologo, osservando statisticamente molti “atti inconsulti” sfociati in crimini efferati che sono riferibili a soggetti presumibilmente portatori di "deficit del ragionamento”, comincia ad interrogarsi circa il bisogno dell’ausilio di nuove strategie preventive psico - sociali, non solo per contrastarne gli eventi delittuosi, ma anche per arginare l’assuefazione a queste nuove tipologie criminali con il pericolo che taluni comportamenti delinquenziali possano essere visti inseriti in un contesto di "normalità".
Le storie sono tante e riempiono le cronache: la badante, “preoccupata per i suoi bisogni ha perso la testa” e picchia i vecchi nei loro letti, i bambini vengono violentanti da accudenti “immaturi che perdono la testa”, i ladri che “alla vista del bottino perdono la testa e uccidono” le persone in casa, i mariti e gli ex fidanzati disturbatori e vandali, che “rifiutati perdono la testa” e perseguitano ed uccidono le donne, gli scippatori “che in cerca di soldi perdono la testa” e impauriscono i malati persino negli ospedali.

Nel tentativo di ipotizzare una strategia adatta alla prevenzione devo sottolineare al primo punto che la gente comune continua ad illudersi di distinguere facilmente il criminale potenziale da un’altra persona educata che pratica la cooperazione e la convivenza civile.
Ma purtroppo sempre più spesso, le tendenze criminali di un tizio vengono scoperte solo a delitto avvenuto.

Lo psicologo ed il neuropsichiatra sanno invece benissimo che vi sono in giro migliaia di “soggetti” che vanno aiutati ed orientati, perché appunto “per un niente perdono la testa” essendo mentalmente fragili. E si tratta di persone incapaci di valutare le conseguenze delle proprie azioni.

Alcuni elementi comuni contraddistinguono gli autori di delitti con "deficit del ragionamento" e sono: la debolezza della vittima, l’assenza di una ragione comprensibile, l’efferatezza delittuosa ed il suicidio finale dell’autore.

Da notare che alcune tendenze delinquenziali in età giovanili, possono essere anticamera di comportamenti criminali in età adulta.

Allora ecco che emerge l'esigenza di adottare misure preventive: ché se non si fa prevenzione con una specifica “educazione al ragionamento”, nei confronti di un’alta percentuale di "bravi ragazzi", definiti tali nonostante siano portatori di deficit del ragionamento, continueranno a crescere le aggressioni, i delitti odiosi e le morti inspiegabili.

Alla fine di queste osservazioni, mi accingo a sostenere l’ipotesi della prevenzione attraverso un tentativo di “educazione al ragionamento”, che nell’antichità fu chiamata dai Greci educazione alla saggezza, che possa servire a mitigare le tendenza ad atti inconsulti e sia applicabile nei confronti del soggetto indipendentemente dal grado di intelligenza.

Prof. Gennaro Iasevoli
Psicologo
(docente di psicologia giuridica - sito universitario:
http://www.giurisprudenza.uniparthenope.it/siti_docenti/SitoDocentiStandard/default.asp?sito=giasevoli )
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