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VIVERE CON UN BAMBINO DISABILE: ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE

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Messaggio Da Dott.ssa Di Giovanni Gio 22 Ott 2009, 09:55

VIVERE CON UN BAMBINO DISABILE: ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE

Cosa succede da un punto di vista psicologico nei genitori prima, e nella famiglia allargata poi, quando nasce un figlio con una patologia congenita che comporta una disabilità?
La prima reazione alla diagnosi di una malattia organica spesso cronica e invalidante, oltre all'immenso dolore, è quella di perdere ogni certezza che si aveva precedentemente.
Questa fase iniziale acuta di shock e di incredulità, con conseguenti reazioni emotive (pianti, esplosive variazioni d’umore) ha un grosso impatto anche sulle aspettative che un genitore ha nei confronti del proprio figlio.
Ciò che un genitore si aspetta da un figlio viene deciso spesso molto prima del concepimento e sovente non lo decide neanche da solo. Queste aspettative possono essere costruite dai suoi stessi genitori ( i nonni del bambino) e riversate sul figlio affinché porti avanti un bagaglio antico di aspettative, trasmesse di generazione in generazione.
Quando il figlio reale non corrisponde al figlio ideale il genitore può vivere, spesso in maniera inconsapevole e conflittuale, diversi sentimenti, di vergogna, di fallimento per essere stato incapace a generare un figlio perfetto (soprattutto nei confronti delle famiglie d’origine), di rifiuto, di desiderare di “rimettersi il bambino dentro la pancia per poterlo a questo punto farlo nascere sano”, che contrastano fortemente con lo smisurato amore che prova, verso il bambino.
A questo tumulto di emozioni e pensieri fa seguito quasi inevitabilmente una fase di depressione mista a sensi di colpa, di ansia e di negazione.
In alcuni momenti, il genitore può cedere alla rabbia per le numerose rinunce che la malattia impone ad ogni spazio di tempo per la realizzazione di una propria vita personale e familiare.
Ma appena si accorge di provare rabbia nei confronti del “proprio figlio, piccolo e indifeso, che suscita un amore illimitato” scattano sensi di colpa che possono portare ad un atteggiamento di protezione.
Una possibile risposta al sentimento di rabbia è la negazione delle differenze tra il proprio bambino e i bambini sani. In queste situazioni, la sottovalutazione dei problemi e la minimizzazione dell’handicap porta ad una eccessiva responsabilizzazione del bambino; il genitore lo sottopone senza tregua a intense riabilitazioni, pretende che il bambino sia come gli altri e non accoglie i suoi episodi di stanchezza e i suoi limiti .
Viceversa, un genitore con un atteggiamento iperprotettivo nei confronti del proprio figlio ( per es. non pretende, quando potrebbe farlo, che mangi cibi solidi, o che mangi seduto o in maniera autonoma oppure non lo sottopone ad una più adeguata riabilitazione) non “investirà” sul bambino per paura che lui cresca. In questo modo eviterà o prorogherà il confronto con i suoi limiti e con i suoi coetanei.
La crescita del bambino evidenzia sempre più il divario, la “forbice” tra il bambino e i suoi coetanei. Nei primi mesi di vita, non sono evidenti grosse differenze tra il bambino sano e quello con disabilità; negli anni successivi, lo scarto tra i due, per quanto riguarda l’acquisizione delle tappe di sviluppo psicomotorio, diventa sempre più grande.
Il genitore sempre pronto a fare qualcosa al posto del figlio, non si accorge di ciò che il bambino non può fare e, ad un livello più profondo, “ripara” la non perfezione del figlio.
Il rischio è che il bambino perda delle occasioni di crescita e di espressione (anche se con tempi più lunghi) delle proprie potenzialità.
Spesso lo stato di sofferenza che la malattia impone al bambino porta il genitore a risparmiare al piccolo qualsiasi tipo di irritazione. Questa situazione “perfetta” crea però nel bambino una scarsissima tolleranza alla frustrazione.
Nel tempo questa poca tolleranza ostacolerà la capacità di trovare una propria soluzione ai problemi, “di cavarsela da solo” e di accettare di non poter fare tutto subito.
Quando il genitore asseconda immediatamente i bisogni del bambino, non dà a lui il tempo di attribuire un significato al proprio bisogno.
Il compito del genitore con bambino disabile è molto difficile, per il dolore che prova nel vedere il proprio figlio diverso dagli altri, per il desiderio di ricolmarlo di un amore infinito ma con la consapevolezza anche che per aiutarlo a crescere, non bisognerà evitargli tutte le frustrazioni ma incoraggiarlo a superare le difficoltà, spronandolo ad attingere alle proprie risorse, che se correttamente stimolate, potranno ampliarsi.
E’ consigliabile che i genitori non rimangano soli nell’affrontare la crescita del bambino; se vorranno potranno trovare un sostegno psicologico, da parte di figure professionali, per affrontare insieme le problematiche che si presenteranno e per utilizzare al meglio il grande amore che provano per il loro figlio.
Dott.ssa Simona Di Giovanni
Psicologa, psicoterapeuta
simonadigi@libero.it

Vedi anche:
- Il bambino con un fratello malato (dott.ssa Di Giovanni)
- Quale intervento psicologico per un disabile e la sua famiglia (dott.ssa Paliotti)
- Fratelli speciali (dott. Bertocchi)

Dott.ssa Di Giovanni

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