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Il bambino con un fratello malato

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Messaggio Da Dott.ssa Di Giovanni Mer 27 Gen 2010, 08:41



“Per tutta la vita gli era stato secondo e non solo perché era nato dopo. Forse il destino dei secondogeniti è di avere meno scelte se non altro perché il primo arrivato ha già preso tutto quello che gli occorreva” da G. Schelotto in “Caino il buono. Una storia d’amore-odio tra fratelli.” Mondadori.

La funzione che ogni fratello svolge, dipende in gran parte, da ciò che nel tempo egli acquisisce come suo ruolo e come sua identità nell’ambito della vita familiare. Il ruolo dei figli può trarre origine da fattori, tra i quali, le aspettative dei genitori e della famiglia estesa, alcuni eventi che possono verificarsi durante la gravidanza, alcune somiglianze tra genitori-figli, l’ordine di nascita.

La relazione tra figli e genitori può condizionare i legami che si creano nel tempo fra i fratelli.
Un fratello può essere descritto avendo come parametro di valutazione l’altro fratello. Si è “più” o “meno” del fratello, invece di descriversi come diverso dal fratello.

Nelle famiglie senza apparenti eventi critici, i ruoli sono assegnati e modificati in modo flessibile e questo garantisce una sana crescita di tutti.
Quando invece la famiglia si trova a far fronte ad una malattia di un figlio, c’è il rischio che questa funzione diventi stabile, per richiesta più o meno esplicita dei genitori o per scelta del fratello sano.
Un fratello di un ragazzo con un handicap, una malattia psichica o con una malattia tumorale, spesso si sente e si comporta come un “secondogenito predestinato”. Lo spazio e il tempo familiare che rimane per lui generalmente è di proporzioni ridotte rispetto al fratello malato.

A volte, i fratelli possono agire comportamenti abnormi, inadeguati all’età senza che i genitori pongano dei limiti al loro manifestarsi. La malattia può togliere ai genitori la possibilità di esercitare il loro ruolo di educatori e dà ai figli l’idea della gravità della situazione.
Dal momento della malattia in poi, il mondo può essere visto attraverso una lente, il cui fuoco è il figlio malato. Il significato che questo evento assume all’interno del sistema familiare dipende dall’interazione della malattia, con altri fattori, individuali e familiari di tutti i soggetti coinvolti.

Lo sviluppo delle situazioni critiche legate all’handicap, al tumore o alla psicosi, è influenzato da fattori eterogenei, di ordine biologico, psicologico e sociale ed è quindi necessario utilizzare un approccio che affronti contemporaneamente tutti questi aspetti.

Ogni membro della famiglia, sia nel ruolo di maggiore o minore coinvolgimento emotivo, contribuisce a vivere e a leggere l’evento in un determinato modo. Ogni evento critico viene declinato in maniera totalmente diversa dentro ogni singola persona e dentro ogni singolo sistema.

A livello esemplificativo, possiamo rintracciare alcuni aspetti ridondanti.

I fratelli di un bambino con handicap rischiano di essere i “grandi presenti”.
La maggiore focalizzazione dell’attenzione degli adulti su colui che presenta evidenti difficoltà può innescare dinamiche particolari: iperesponsabilizzazione e iperprotezione in alcuni casi, conflitti esasperati e rifiuto in altri.

E’ molto frequente che i fratelli sani svolgano un ruolo genitoriale nei confronti dei genitori e del “fratello difficile”.

Quando il fratello sano svolge un ruolo di accudimento nei confronti del fratello difficile può crearsi una relazione di ipercoinvolgimento fra fratelli. A volte la coppia di fratelli può sentirsi appagata da questa confidenza perché il fratello sano soddisfa i bisogni profondi dell’altro. L’apparenza però, di una relazione così strutturata può nascondere forti sentimenti di ambivalenza e di ostilità.

Questo ruolo genitoriale, infatti, potrà incidere nella vita futura del fratello sano, per il carico di angoscia, di responsabilità e per la rinuncia al proprio tempo e spazio.

I fratelli di un bambino malato di tumore rischiano di essere i “grandi assenti”.Solo raramente hanno la possibilità di partecipare alle fasi della malattia a causa della lontananza, della scuola, delle regole imposte dall’ospedale ecc. Di fronte al rischio che il bambino morirà, lo spazio di attenzione rivolta loro dai genitori sembra restringersi notevolmente. Molti dei fratelli parlano con sofferenza della scarsità di informazioni ricevute, dell’esclusione dal rapporto diretto con gli altri membri del nucleo familiare, della mancanza di fiducia nei loro confronti, che si traducono in un senso di profondo abbandono. Alle sollecitazioni per un più diretto coinvolgimento, i genitori oppongono, quasi sempre, motivazioni razionalmente molto valide che nascondono in realtà, il desiderio inconscio di risparmiare almeno agli altri figli, l’insostenibile dolore che li minaccia.

Le possibili reazioni dei fratelli legate, anche all’età, possono essere di:

Adultismo: i fratelli rassicurano i genitori non lamentandosi, facendo finta che tutto è come prima, evitando domande sulla malattia ovvero negando di sapere, per evitare di aggiungere all’angoscia degli adulti, l’angoscia di fargli sapere che loro sanno.
Infantilismo: i fratelli possono manifestare comportamenti regressivi che richiedono una costante presenza attiva dei genitori rallentando la comparsa di nuove conquiste sul piano dell’autonomia.
Orfanilità: i fratelli ricevono una scarsa attenzione da parte dei genitori e assumono nel tempo una condizione di essere per se stessi, senza una collocazione familiare.

I fratelli di un ragazzo con una malattia psichica rischiano di rimanere soli.
Il fratello sano di un ragazzo psicotico può sentirsi solo ed essere unico referente in grado di far fronte ai problemi di realtà, quando:
- più membri della stessa famiglia presentano la medesima patologia,
- gestisce, insieme agli altri familiari, la sofferenza del paziente ostacolando
qualsiasi intervento che viene vissuto come indebita intrusione
- la vecchiaia o la morte colpisce i genitori
- il fratello malato è incapace di costruirsi un nuovo nucleo familiare.

La malattia psichica avendo un carattere cronico, accompagna tutto il ciclo vitale della famiglia e crea nel lungo tempo, una sfasatura tra lo sviluppo individuale, familiare e sociale dei fratelli, sano e psicotico, che li induce a percepirsi come due figli unici.

In conclusione, è fondamentale riconoscere il disagio, in termini di peso emotivo e di difficoltà quotidiane, a coloro che condividono spazi di vita con un “fratello difficile”.

Affinchè i fratelli possano riconoscere, accettare, e quindi esprimere consapevolmente (e non solo attraverso acting out) sentimenti di rabbia, di dispiacere, di delusione e di frustrazione, è necessario che i genitori mantengano saldi i confini tra i sottosistemi. Un fratello non deve fare da genitore e se le condizioni del “fratello difficile” lo permetteranno, dovranno favorire un confronto diretto tra fratelli.

I fratelli devono potersi appoggiare, isolare, accusare reciprocamente, apprendere l’uno dall’altro e quindi imparare a negoziare, a cooperare e a competere. Solo così, la relazione tra fratelli diventerà una risorsa per la propria vita.

Dott.ssa Simona Di Giovanni
Psicologa Psicoterapeuta
simonadigi@libero.it

Vedi anche:
- Vivere con un bambino disabile. Spunti di riflessione (dott.ssa Di Giovanni)
- Quale intervento psicologico per un disabile e la sua famiglia (dott.ssa Paliotti)
- Fratelli speciali (dott. Bertocchi)

Dott.ssa Di Giovanni

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Messaggio Da clelia23 Mer 27 Ott 2010, 14:50


Salve,
ho trovato molto interessante l'articolo, soprattutto perchè per alcuni versi mi rispecchio in quello che lei scrive. Le descrivo la mia situazione. Il mio ragazzo è iperprotettivo nei confronti di suo fratello, ma non perchè questo è seriamente malato o soffra di un qualche handicap ma, per farla breve, perchè fin da piccolo ha sempre avuto una vita più travagliata: bambino con frequenti problemi di salute e problemi a scuola. Insomma, rispetto al mio ragazzo ha sempre avuto bisogno di più attenzioni al punto che oggi, pur avendo superato la soglia dei 30 anni, si comporta spesso come un bambino di 10. Ritengo che la causa principale di questo suo comportamento sia l'educazione e le attenzioni iperprotettive dei genitori: è come se lo avessero fatto crescere sotto una campana di vetro. Il risultato è che oggi chiede sempre aiuto ai genitori e al fratello per fare qualsiasi cosa, anche se lui sarebbe benissimo in grado di farlo da solo e, cosa secondo me più grave, ha sempre una risposta positiva alle sue richieste. Non esagero, ma è come se a più di 30 anni d'età fosse ancora un viziatissimo bambino di 10 anni. Il mio ragazzo (che è più piccolo di qualche anno) è cosciente di questa cosa e si rende anche conto che sbaglia a dirgli sempre di sì e a fare tutto quello che gli chiede, impedendogli così di sforzarsi a fare le cose autonomamente ma NON RIESCE a fare a meno di rifare puntualmente gli stessi errori. E' proprio come se vivesse un senso di colpa nei confronti del fratello, più sfortunato e debole, che gli impedisce di ragionare a mente lucida e ad evitare di fargli ancora più del male. Dal suo canto, il fratello maggiore non dà alcun segno di voler rendersi autonomo, tra l'altro vive da solo ed è assolutamente autosufficiente, ma quando si tratta della famiglia io credo "se ne approfitti" anche un pò, perchè in fin dei conti la pappa sempre pronta gli fà comodo. Il problema è che il loro rapporto ha delle ripercussioni molto negative sulla nostra vita di coppia visto che quando si tratta del fratello tutto passa in secondo piano e io non riconosco più il mio ragazzo che fa e dice cose che con qualsiasi altra persona non farebbe mai. Ci tengo a precisare che non sono gelosa del loro rapporto, il mio lui è molto innamorato di me ed altrettanto premuroso ma non mi piace vederlo così impotente e soggiogato da questa situazione che tra l'altro non lo fa vivere bene e spesso gli causa ansia che inevitabilmente ricade su di noi. Io non so che fare perchè mi rendo conto che è una situazione estremamente delicata, ho provato a volte a parlargliene e lui si rende conto del problema, dice che ho ragione ma poi rifà gli stessi errori ed io non posso stare sempre lì a farglielo notare perchè sennò ogni volta la tensione fra noi due salirebbe. Penso anche che, visto che i componenti della famiglia del proprio partner sono parte integrante anche del rapporto di coppia (con le dovute distanze, ovvio) ho paura che questa relazione così morbosa e assolutamente non sana mi perseguiterà a vita e non voglio. Mi sento anche egoista a pensare ciò, però le assicuro che tutto questo non è salutare in primis per loro due e perle loro vite private. Non so cosa fare, come affrontare il discorso col mio lui (l'ho già fatto, ma è cambiato poco e nulla). Col fratello è inutile, non mi starebbe nemmeno a sentire credo, anche perchè, ripeto, a lui questa situazione fa comodo. E' possibile che un eccesso di iperprotezione possa fare diventare così egoiste le persone? Lei cosa mi consiglia?
Spero in una sua risposta,
grazie

clelia23

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Messaggio Da Dott.ssa Di Giovanni Gio 28 Ott 2010, 08:16

Gentile Clelia,
penso che soltanto un'approfondita conoscenza della storia familiare possa aiutare a comprendere il comportamento del fratello del suo fidanzato. Mi dispiace dirglielo ma su questo lei può fare poco se non c'è una motivazione da parte dei genitori. E noi non possiamo cambiare gli altri se questi internamente non se la sentono. I vincoli, le lealtà che impediscono a questa famiglia di crescere e di trasformarsi, forse, sono meno "rischiosi" del cambiamento. Questo non per lei ma può darsi che valga per loro.
Mi sembra che la difficoltà che lei sente stia nella impossibilità di fondare una nuova famiglia, quella tra lei e il suo fidanzato, perchè lui è ancora figlio e ancora fratello.
Allora forse, potrebbe spostare il focus della sua riflessione, anche per lenire il suo senso di impotenza, da loro a sè stessa, se sente di poter tollerare tutta questa situazione e che rinuncia comporta per lei.
Distinti saluti
Dott.ssa Simona Di Giovanni

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Messaggio Da clelia23 Gio 28 Ott 2010, 09:33

Gentile Dott.ssa,

grazie per la sua risposta. Mi rendo conto che è molto difficile in un forum spiegare bene ed approfonditamente delle situazioni familiari.
Io credo che cambiare l'atteggiamento dei genitori in questa situazione sia in effetti impossibile. Sono anni che si comportano così, non si può cambiare un equilibrio così consolidato credo. L'impressione che ho io è che i genitori si comportano in modo anomalo ma quasi senza porsi il problema, come se il figlio necessitasse realmente di quelle attenzioni e premure così eccessive. Sembra come se loro non si rendano realmente conto che il figlio è grande grosso e vaccinato ma pensino che è ancora fragile, debole e incapace di risolversi le cose da sè, proprio come quando era piccolo. E forse questa, alla luce di un'infanzia travagliata, è una reazione abbastanza "normale" di un genitore.

Il mio ragazzo però ha un atteggiamento mentale diverso. Più volte mi ha chiesto cosa pensassi del loro rapporto ("ma secondo te, faccio bene a comportarmi così...?") evidentemente sentendosi in difetto e in errore e lo sento che la vive male perchè lo sa che così non va bene affatto. Cosa che invece non mi sembra accada per i genitori che sono assolutamente tranquilli e "paciosi" e credono che vada tutto alla grande (il figlio è al sicuro!). E' capitato spesso, anche davanti a me, che lui si arrabbiasse molto col fratello perchè magari in una determinata situazione si comportava appunto come un dodicenne e urlandogli contro, cercava di spronarlo a fare da sè. A volte capita quindi che il mio ragazzo reagisca anche perchè lui di carattere è abbastanza "fumantino". Il problema è che spesso compie dei gesti iperprotettivi quasi senza accorgersene, quasi fossero gesti automatici. Poi magari dopo io glielo faccio notare e lui si rende conto dell'anormalità della cosa e spesso è capitato che poi, al riproporsi di quella stessa situazione reagisse in modo diverso. Sembra come se a volte ci debba essere qualcuno che gli faccia notare l'assurdità di certi gesti. Quindi voglio dire, la consapevolezza c'è, la voglia di agire per il bene comune anche, insomma fondamentalmente io e lui siamo d'accordo su questa cosa. Poi credo anche che un conto siano i genitori, un conto è il rapporto col fratello. Mio cognato ha un rapporto molto dipendente dal fratello; chiede sempre la sua opinione e se deve prendere una decisione importante lo consulta sempre ad esempio. Io credo che il mio ragazzo abbia un forte ascendente sul fratello e che sia forse l'unico al mondo che ha le potenzialità (e anche la voglia) di aiutare a "farlo crescere". I genitori secondo me non possono farlo ma lui sì, è quasi un suo dovere per come la vedo io. Spesso gli ho detto: "ma lo vuoi aiutare a crescere tu che puoi?". Lui è pienamente d'accordo con me e io non me la sento neanche di non fare nulla. Sento che per il bene mio, per il suo e per quello del fratello anche io ho un compito: aiutarlo a cambiare le cose che anche lui vorrebbe cambiare, cosa purtroppo non facile ma fondamentalmente la voglia c'è e pure la consapevolezza che così non va. Insomma se gli equilibri e i vincoli che Lei dice si siano creati in questa famiglia in realtà non stanno bene a tutti e non fanno sempre vivere bene e serenamente le persone coinvolte (in questo caso il mio ragazzo), non crede che questo possa essere un valido motivo ed incentivo per provare a cambiare le cose?
Non so, diciamo che la sua risposta mi è sembrata un pò arrendevole e senza speranze ma mi rendo perfettamente conto che non è facile dare un'opinione su qualcosa che non si conosce bene. Per questo ho provato a spiegare meglio la situazione e spero di esserci riuscita.... o forse sono io che sono illusa di poter cambiare le cose?

clelia23

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Messaggio Da Dott.ssa Di Giovanni Gio 28 Ott 2010, 10:06

Vede, il suo fidanzato vorrebbe "cambiare" il fratello che però mi sembra non faccia nessuna richiesta d'aiuto in tal senso, lei vorrebbe che il suo fidanzato cambiasse il rapporto con il fratello. Insomma, ognuno vuole cambiare l'altro. Quello su cui bisognerebbe "lavorare", a mio avviso, è la percezione della difficoltà relazionale che ognuno ha e quanto questa interferisca nella vostra vita. C'è chi, come magari per suo cognato, non lo vive come un problema.
Non voglio toglierle la speranza, ma farle domandare al suo fidanzato, che speranza/fiducia ha lui che suo fratello possa cambiare alla luce di ciò che è successo finora?
SDG

Dott.ssa Di Giovanni

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